Di Alessandro Troncino per il Corriere della Sera: Se dovessimo scegliere un’eccellenza del vino italiano da regalare a un capo di Stato straniero, una bottiglia icona, un produttore leggendario, un’etichetta spettacolare, penseremmo forse a un Monfortino, a un Sassicaia, a un Vecchio Samperi o a un Trebbiano d’Abruzzo di Valentini.
Alla Fondazione italiana Sommelier, incaricata da Palazzo Chigi di confezionare il dono enologico diplomatico, è venuto in mente il Platone, della tenuta di Al Bano Carrisi. Sì, il cantante. E così il premier Giuseppe Conte, forse ignaro del contenuto dell’omaggio, si è presentato alla corte del presidente cinese Xi Jinping con questo prezioso cofanetto. Al Bano, che trascorre il primo maggio nella sua Cellino San Marco, non fa professione di umiltà: «Meglio il Sassicaia? Parliamone…».
L’omaggio
Il suo Platone è un dignitoso rosso del Salento — 50 per cento uve primitivo 50 negramaro, affinato in barrique — non esattamente al livello di un Barolo. Superata la sorpresa, però, è facile intuire il motivo per cui, tra un Brunello Biondi Santi e un olio Muraglia, la solerte Fondazione abbia deciso di infilare nell’urna di legno il vino di Al Bano. Si tratta evidentemente di un omaggio (più o meno «platonico») per le belle parole spese nei confronti dell’ex nemico padano Matteo Salvini. E soprattutto per il prezioso ruolo da intermediario svolto nell’esportazione del vino italiano in Cina. A cominciare dal suo, naturalmente.
Il mercato
Al Bano fa vino da molti anni. Dopo inizi stentati e rischi di bancarotta, negli ultimi tempi si è ripreso alla grande e ha sfondato soprattutto nella grande distribuzione, tra Gigante e Coop. Ma va forte anche all’estero. Nella Russia dall’adorato Putin. E in Cina. Parlando con il suo distributore cinese, ma anche con il responsabile di Google a Pechino e con un governatore regionale, il titolare delle Tenute Al Bano Carrisi si è reso conto che l’esportazione di vino italiano non va come dovrebbe. È vero che negli ultimi dieci anni è cresciuta del 548% (fonte Coldiretti). Ma è anche vero che la Francia ci surclassa: «I cinesi — ci spiega — sono un miliardo e 400 milioni. Non si capisce cosa aspettiamo. Anche perché i francesi, che sono arrivati prima di noi, hanno il 50 per cento del mercato: noi soltanto il 5 per cento».
«Felicità» padana
Vista la situazione, Al Bano ha pensato di rivolgersi ai leghisti. Salvini — forse invidioso del reclutamento di Lino Banfi all’Unesco da parte di Di Maio — ha tanto apprezzato da invitarlo al Viminale, nel dicembre scorso. È finita con i due ebbri di allegria che cantavano «Felicità» e «Nel sole» e con il vicepremier che brandiva il «Baccus riserva Salvini».
I diritti umani e Manduria
Al Bano ha una lunga consuetudine con la Cina: «Ci ho fatto una decina di concerti, l’ultimo a novembre, in una città con 30 milioni abitanti». Conosce il presidente cinese? «Sfortunatamente no, ma ho incontrato un governatore che è un mio grande ammiratore e ho visitato la piazza Tienanmen e le stanze di Mao. Grande Paese». Sicuramente un Paese grande. Ma son pur sempre comunisti, sia pure capitalisti, no? «Se il comunismo è questo, facciamolo arrivare subito in Italia». Poi c’è quel dettaglio dei diritti umani: «Ma guardi, ogni Paese ha i suoi problemi: se penso a quel povero signore di Manduria, picchiato dalla banda di ragazzini». Sì, ma che c’entra con la mancanza di democrazia e di diritti umani? «Lo Stato siamo noi. È la gente che fa la democrazia».
«Ammiro e non professo»
Archiviato per un attimo il diritto e il commercio internazionale, si passa alla politica nostrana, che attira parecchio Al Bano: «Mi piace molto Salvini, sta facendo un gran lavoro e sta mantenendo le sue promesse». E Di Maio? «Non ho ancora avuto la gioia, beh, diciamo l’occasione, di conoscerlo». Insomma, in attesa di invadere pacificamente la Cina con il suo Platone barricato, si sta preparando a sbarcare in politica con la Lega? «Non mi faccia cadere nelle trappole della politica. Io faccio come il Papa, o come certi uomini di Stato: ammiro e non professo».
Commenta